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Europa sei un osservato speciale

di Alessandro Merli

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18 giugno 2009

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Siamo già arrivati al momento in cui si può parlare, come si è fatto al G-8 di Lecce, di exit strategy, di vie d'uscita dalla crisi?

Credo che anche in questo caso la posizione espressa dal segretario al Tesoro Usa, Tim Geithner, sia stata molto pragmatica. Se l'economia non esce dal guado, e ancora non è uscita, è inutile mettere in atto delle strategie d'uscita. Bisogna prima essere sicuri che l'economia abbia preso a funzionare. Se no, c'è il rischio di ridurre le chance di uscita.
Non c'è un problema grave di esplosione del debito pubblico, soprattutto negli Usa?
A dire la verità, penso che il problema più grave non sia il debito, ma l'inflazione futura e l'indipendenza della Federal Reserve, che è minacciata sia sul fronte tecnico sia su quello politico. Ipotizziamo che a gennaio la Fed sia al punto di dover alzare i tassi d'interesse. Per poterlo fare, deve prima immettere sul mercato tutte le attività finanziarie che ha comprato in questo periodo. In parte è robaccia, e dovrà essere scambiata con titoli del Tesoro. Ora, il Tesoro ha garantito che riacquisterà parte di questi assets, quelli finiti sui libri della Fed con le operazioni Bear Stearns e Aig. E il resto? Se a gennaio il Tesoro si opponesse al rialzo dei tassi, magari perché allora la disoccupazione sarà ancora in rialzo e quindi la considerasse una mossa prematura, o difficile politicamente, può rifiutarsi di ricomprare gli asset della Fed. Per di più saremo nella fase della riconferma del presidente della Fed, Ben Bernanke. Quindi, ci potrebbero essere pressioni di tipo tecnico e politico sulla Fed che le impedirebbero di adottare la decisione corretta.
Torniamo al dibattito sul mondo post-crisi. Dev'essere frustrante, per chi è stato protagonista della stagione delle privatizzazioni e sostenitore del liberismo, vedere il ritorno in grande stile dello stato in economia.

All'atto pratico, per quanto riguarda il sistema bancario, nessuno ha mai negato che ci volesse un prestatore d'ultima istanza. Semmai, ha sorpreso la dimensione con cui gli interventi si sono resi necessari. E comunque sono chiaramente temporanei. Sono contrario invece all'ingresso dello stato nell'automobile. Negli Usa le grandi case hanno tre elementi: un fondo pensione, un'assicurazione sanitaria per i dipendenti e la produzione di auto. Le prime due sono il vero problema e sarebbe stato corretto, dato che si tratta di attività con finalità pubblica, nazionalizzarle. A quel punto, anche il salvataggio dell'auto, con una cessione ad altri privati, sarebbe stato più semplice. Liberata da quei pesi, General Motors non sarebbe finita in amministrazione controllata. Ma l'amministrazione Obama non ha avuto coraggio. Se vogliamo fare invece una discussione di principi, nessuno negli Usa pensa ad alterare permanentemente l'equilibrio stato/mercato. Le storie di successo sono quelle di imprese che si ristrutturano e che nel giro di tre anni consentiranno all'economia americana di tornare a crescere con forza. Noi invece, senza riforme, saremo ancora qui, con gli stessi problemi.

18 giugno 2009
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